martedì 5 aprile 2011

H. R. Giger

L'artista svizzero Hans Ruedi Giger, è una leggenda nel circuito nerd-cinefilo e presso gli apostoli della fantascienza...perché? Bè...nel 1978, questo signore, ottiene un incarico la cui importanza lo proietterà nel cuore del successo commerciale, e tra gli artisti/disegnatori più famosi della storia del cinema. Un successo che ancora oggi fa eco. Un contributo fondamentale il suo, che conferisce a quel cult del 1979, Alien, e al seguito della saga, un tratto del tutto caratteristico.



Siamo nel 1977 e, Hans Ruedi, è appena reduce dalla mancata approvazione dei suoi progetti su Dune, ma ottiene tuttavia nello stesso anno la possibilità di ideare il mostro per Alien, una sceneggiatura ancora priva di film, scritta dall'accoppiata Dan O'Bannon - Ronald Sushett.

Giger è già conosciuto nell'ambiente, sia per una mostra a cui ha partecipato (la sua prima sul suolo americano) chiamata Images Of Horror And Fantasiesal Bronx Museum di New York, che per i suoi progetti per Dune, ma soprattutto, per il suo preziosissimo cofanetto Giger's Necronomicon, uscito in tedesco e francese quell'anno stesso, e reale motivo di infatuazione immediata da parte del regista assegnato alla direzione e della Twentieth Century Fox, che ne ricevono una copia subito dopo il rilascio sul mercato. Giger conosce così , il cineasta addetto all'operazione - successo, Ridley Scott, recatosi a Zurigo per incontrarlo all'inizio di febbraio, al seguito di due produttori. L'incontro dura pochissimo e l'accordo c'è.        
                                                          
Da lì a poco, la Twentieth Century Fox finanzierà sei serigrafie per meglio publicizzare il film. Ma questo momento idilliaco non durerà molto per Giger...il contratto stipulato con la Fox, prevede una sua presenza fissa, in prima linea, per promuovere anche lui il film durante le prime di Londra, Parigi, Nizza, New York e Los Angeles. Un tour de force con interviste lunghissime e sballottamenti continui da cui l'artista emerge a fatica, visibilmente sempre più provato. La sera del 14 aprile 1980, prende finalmente una boccata d'ossigeno, e il suo contributo determinante in Alien, viene premiato con l'Oscar nella categoria " Best Achievment For Visual Effects".

Collabora più avanti in altre produzioni cinematografiche ma, l'unico sussulto si dimostra Species del 1995 dell' MGM, per il quale realizza un treno fantasma (secondo me non troppo riuscito) e un'extraterrestre; grande successo al botteghino già solo nella prima settimana. Ma tranne questo nulla, non tornerà mai neanche lontanamente a sfiorare il successo e le suggestioni  artistiche raggiunte in passato, anche per colpa della debolezza stessa dei prodotti in cui è stato coinvolto. Ma se il cinema non ha più nulla da dirgli, Giger continua a seminare successi altrove, tant'è che ottiene soddisfazioni anche nella musica, con un paio di copertine da lui disegnate: Brain Salad Surgery di Emerson Lake & Palmer e Koo Koo di Debbie Harry, che vengono inserite dalla rivista Rolling Stone tra le cento copertine più belle di sempre. Tuttavia Giger, da sempre,  fa anche molto altro, lui che è disegnatore, mago dell'aerografo, scultore, arredatore d'interni, etc etc...

Riporto quella che ritengo la migliore descrizione che mi sia mai capitata riguardo l'arte di Giger, scritta dal grandissimo Timothy Leary:

" Sono seduto nel mio studio, nella nostra casa sulle colline di Hollywood e scrivo questa prefazione. Guardo fuori dalla finestra ed osservo i rosai fioriti di Barbara, i dodici cipressi italiani alti e slanciati, il verde intenso delle colline ricoprte d'edera. Il nostro cane e il nostro gatto giocano insieme sul prato. Il cielo è blu.
Sulla mia scrivania sono sparse delle foto dei quadri di Giger "N. Y. City". Li studio per la centesima volta, sopraffatto e pieno d'ammirazione per questo pittore svizzero che crea quest'arte grandiosa del XXI secolo.
Con quali parole posso descrivere queste cronache scentificamente precise, che sembrano pagine strappate dal mio corpo? Basta gettare di sfuggita un'occhiata a questo libro per capire il mio dilemma. La nostra primitiva lingua prescentifica dispone di poche espressioni per comunicare i fatti orribili e terrificanti che Giger ci rivela.
Giger, tu tagli il mio tessuto cellulare in parti sottilissime, per mostrarle al mondo.
Giger, preciso come la lama di un rasoio, tu sezioni parte del mio cervello e le trasferisci sulle tue tele.
Giger, tu sei un estraneo appostato nel mio corpo, dove deponi le tue uova miracolose che predicono il futuro? Hai avuto intorno a te fili di seta di larve per penetrare profondamente la parte del mio cervello in cui domina la saggezza.
Giger, tu vedi più noi primati addomesticati, provieni da una specie superintelligente? Sei un visitatore infetto, che con gli occhi a petalo di papavero guarda dentro i nostri meccanismi riproduttori? August Kekulé di Stradonitz, scopritore della tetravalenza del carbonio, sognò del serpente che si morde la coda, dando così inizio all'epoca d'oro della chimica. Einstein sognò di fluttuare in un ascensore, capì il principio della relatività e diede inizio così all' epoca della fisica.
Ed ora Giger. Egli evidentemente ha attivato i circuiti del suo cervello che controllano la politica monocellulare del nostro corpo, delle nostre macchine di aminoacidi. Giger è diventato ritrattista ufficiale dell'epoca d'oro della biologia.
L'opera di Giger ci sconcerta per la sua enorme dimensione evoluzionistica e ci appare spettrale. Ci mostra fin troppo chiaramente da dove veniamo e dove andiamo. Si riallaccia ai nostri ricordo biologici. Cartoline intrauterine. Giger va ancora più indietro, penetra nel nucleo delle nostre cellule. Ti piacerebbe sapere che aspetto ha il tuo DNA? Vorresti vedere come il tuo RNA forma cellule e tessuti in massa e come clona spietatamente la struttura della nostra carne? Allora sfoglia questo libro. Come Hieronymous Bosch, come Pieter Breughel, Giger ci mostra spietatamente la formazione e la decomposizione delle nostre realtà.
In queste opere ci vediamo come embrioni striscianti, come creature fetali, larvali, protette dall''involucro dei nostri ego, in attesa del momento della metamorfosi e della rinascita. Vediamo le nostre città, le nostre civiltà come arnie, formicai popolati da creature striscianti. Vediamo noi stessi.
Giger ci dà il coraggio di salutare il nostro io insettoide.
Eugene Marais, naturalista e scrittore sudafricano, e Edward Wilson, sociobiologo di Harvard, hanno descritto le complesse ed elaborate tecnologie di sopravvivenza degli insetti che vivono in società. Questi etologi ci dicono che, insetti sociali, come ad esempio le termiti, posono mantenere in vita per più di quattrocento milioni di anni civiltà urbane. Dagli insetti impariamo anche le strategie evoluzionistiche di specie intelligenti. Se vogliamo che la nostra società si sviluppa e cresca, dobbiamo capire esattamente quanto gli insetti sociali ci siano superiori. Hanno sviluppato la tattica della metamorfosi, il superamento individuale di diversi livelli, sempre più intelligenti e mobili. Utilizzano la divisione del lavoro in caste temporali e strutturali. Sviluppano forme alate che il DNA della specie fa emigrare in nuovi luoghi ecologici.
L'arte di Giger illumina la spiegazione dell'intelligenza biologica giù fino alle cantine oscure delle nostre città. Ecco il genio evoluzionistico di Giger. Pur reimmergendoci completamente nel nostro passato fangoso, vegetativo ed insettoide, ci sospinge sempre più in avanti, verso l'universo.

                                                                                                      



                                                                                    

lunedì 28 marzo 2011

The Corner

Alcune serie tv e miniserie che amo, cominciando con qualche prodotto targato HBO...perché proprio con questo canale? Perché chi ama le serie tv sa benissimo che è ormai sinonimo di garanzia, che mantiene uno standard qualitativo altissimo da anni e che sembra non arrancare mai!! Beninteso, non che il sottoscritto snobbi le serie tv non marchiate con tale logo, ma se si va a scandagliare il panorama ci si accorge immediatamente che, su altre reti, si deve fare la conta delle serie di qualità, mentre qui basta chiudere gli occhi e puntare il dito, ad esempio...




The Corner è una miniserie trasmessa nel 2000 in sei episodi che, basandosi su testimonianze autentiche, ricostruisce attraverso la finzione quel che succede nell'arco di un anno ad una famiglia caduta in disgrazia. Una famiglia di Baltimora, un tempo agiata e serena, che sembra ormai avviluppata in un turbine tossico senza fondo. Madre e padre divorati dalla droga ed un giovane figlio spacciatore incallito. Partendo da "The Corner",  assistiamo al tentativo di scalata verso la redenzione, un percorso tappezzato di ostacoli e insidie.
Una delle tante doti che spicca in questa miniserie è la sincerità,  perché nonostante lo standard qualitativo della regia e degli attori sia clamoroso, non si nota mai un accenno di manierismo, ma piuttosto una sobrietà molto rara, non si adagia mai sulla demagogia, ed evita di imbrogliare lo spettatore con facili suggestioni e forzature melodrammatiche.
Ma il bello viene subito dopo aver decantato le qualità formali e stilistiche. The Corner, ancor più che una lezione di tecnica narrativa, è una fonte perenne di riflessione.
È un microcosmo che pulsa di vita e morte insieme, con un nucleo caldissimo ma invisibile agli occhi dell'America rispettabile. È una mostra crudele e vera della quotidianità infetta che appesta diversi marciapiedi di Baltimora, dove soprattutto ragazzi e ragazzini ( the corner boys) spacciano, comprano e si uccidono per qualche attimo di paradiso sintetico. Ha valenza di eccezionale documentario pur non essendolo, e la sua visione dovrebbe essere obbligatoria nelle scuole (quelle americane soprattutto, ma non solo).
Molti considerano questa miniserie un prologo a The Wire, incredibile serie tv di cinque stagioni nata qualche anno dopo e di cui parlerò in un altro post, ma in realtà l'unica logica è nel fatto temporale (The Corner si svolge prima di The Wire), nonostante poi la serie tv mantenga l'ambientazione a Baltimora, lo stesso tema di fondo ed alcuni attori (sebbene in ruoli diversissimi).
Mi rifiuto di dargli un voto, anche perché sarebbe ingiusto: non è il "10 e lode" che conta e non è solo per recensirlo che ne ho scritto. Non si limita ad essere uno dei fiori all'occhiello dell'HBO (che già non sarebbe poco), ma entra di prepotenza nell'Olimpo dei più grandi prodotti televisivi americani mai realizzati.

                                      

giovedì 24 marzo 2011


Blind Beast

Regia: Yazuko Masumura
Anno: 1969

" Una ragazza, che si sostenta posando per un fotografo di moda, viene rapita un giorno da un non vedente. Questi la porterà nel suo rifugio/laboratorio assistito dalla madre. La ragazza, quì, verrà a conoscenza della strana passione dell'uomo e, non avendo via di scampo, si troverà nell'obbligo di posare per lui. Sarà solo l'inizio di una discesa nell'impensabile.

Piccolo gioiello giapponese, che, come ogni film di qualità, non ha per nulla risentito dello scorrere del tempo.
Soggetto semplice, perfetto e solidissimo, regia impeccabile, recitazioni ottime, scenografia splendida, fotografia strettamente funzionale e una colonna sonora che insinua senza invadere.
Il piccollo grande miracolo che ho riscontrato, è che nonostante la spirale di perversione, il film dà l'effetto di basarsi, tutto sommato, su una logica ferrea. "
VOTO: 8.5

Chocolate

Regia: Prachya Pinkaew
Anno: 2008

" Una ragazza autistica, nata da una relazione clandestina tra due criminali, aiuta la madre ( in "pensione") malata, a pagare le spese mediche. Andrà in giro a far visita a vecchi debitori da cui la genitrice non ha mai riscosso.

Parte drammatica poco più che tratteggiata, il resto è sana orgia di piroette, salti mortali e botte da orbi. Fa esattamente quel che deve, cioè divertire, ed è quel che c'è da aspettarsi dal regista di Ong Bak.
Simpatico momento di outtakes durante i titoli di coda, che dimostra il lavorone che c'è dietro e quanto male riescono a farsi realmente nelle scene eliminate. Da applausi l'atletismo della giovane protagonista, che mostra un vantaggio in più del corrispettivo maschile T. Jaa: lei da grande potrà anche recitare. "
VOTO: 7

Dark Country

Regia: Thomas Jane
Anno: 2009

" Una giovane coppia, dopo il matrimonio lampo a Las Vegas in pieno stile "little wending chapel", parte da un motel qualunque con l'intento di attraversare il deserto, per trovare stabilità al di là di esso.
Nella prima parte del viaggio,c'è solo serenità, speranza e tanta voglia di sesso, ma, attimo dopo attimo, l'adrenalina sale, i fari vengono spenti e, con essi, la "luce" su ogni ambizione. Si guida alla cieca, e gli unici elementi di compagnia diventano le distese a perdita d'occhio, la monotonia dell'asfalto e un tappeto di stelle.
Poi l'incubo.

Questo film seppur modesto è un gioiellino, e la cosa mi lascia non poco sorpreso vista la scarsa considerazione che nutro per l'ometto in questione.
Storia semplice ma efficace. Fotografia iperrealistica e fumettistica, e cura dei dettagli assoluta. "
VOTO: 6.5

Memories Of Murder

Regia: Joon-ho Bong
Anno: 2003

" Anni '80. In una campagna della Corea del sud, viene ritrovato, in una canala, il corpo di una ragazza. Sarà solo l' inizio di una scia di sangue. Gli agenti della polizia locale, si troveranno ad affrontare il primo serial killer della storia del paese e, causa scarsa competenza con tale categoria di crimini, i nostri si troveranno a condurre indagini con precisione approssimativa, tentando anche di estorcere false confessioni. La polizia di Seoul deciderà quindi di spedire nella zona un giovane e preparato agente. Capirà però anche lui, che ogni pista, sembra riportare al punto di partenza.

Film tratto dalle cronache di venti e passa anni fa, riguardo il primo serial killer della Corea del sud.
Regia di prim' ordine e fotografia stupenda, ottime le interpretazioni, niente cali di ritmo e ottima illustrazione delle differenze tra polizia di campagna e di metropoli.
Unica nota, è che non saprei giudicare il finale (reinventato) non sapendo la conclusione del fatto reale, ma di sicuro, quello che ha scelto Boong fa molto effetto. Altro gran bel prodotto della scuola sudcoreana. "
VOTO: 7.5

martedì 22 marzo 2011


Thirst

Regia: Park Chan Wook
Anno: 2009

" Un prete alle prese con malati terminali, diventa vampiro a causa di una particolare "infezione".
Si trasforma e combatte costantemente, diviso tra la "sete", e il suo essere virtuoso uomo di chiesa.

Tutto il film è una stupenda metafora su istinto e ragione. È un film che va letto in ogni fotogramma, ognuno dei quali ha, o può avere, più significati.
Spendo due parole anche sugli effetti speciali, mai sontuosi, ma sempre perfetti. Ciò che amo particolarmente, in questo regista, è la sua capacità di creare sensazioni di grande impatto emotivo utilizzando pochi mezzi (per scelta e non per mancanza di possibilità), e questa l'ho sempre considerata una peculiarità tipica del genio, un pò come nell' illusionismo: un numero di grande effetto, basato su un trucco che spesso può rasentare il banale. E Park Chan Wook è tutto questo, un illusionista e insieme un esteta dell'immagine. "
VOTO: 8.5